Dopo aver sottratto ai propri complici il ricco bottino di una rapina, Tonino (Sergio Rubini), detto “Barboncino”, sgangherato pregiudicato di mezz’età, fugge per le strade di Taranto, si ferisce ad una gamba e perde la borsa con soldi e gioielli sotto una montagna di calcinacci. Braccato dalla mala, trova rifugio per alcuni giorni su un tetto-terrazza di un grande palazzo dove riceve le cure di Renato (Rocco Papaleo), stralunato suo coetaneo che vive lì, convinto d’essere un pellerossa Sioux. In attesa di recuperare il prezioso malloppo e di tagliare la corda assieme all’ambigua Milena (Bianca Guaccero), il goffo rapinatore ha l’occasione di conoscere il mondo allucinato e saggio dello strambo indio-tarantino, e, soprattutto, di stringere con lui un’amicizia che, seppur per un istante, allontanerà entrambi dalle rispettive solitudini.
Una storia di solidarietà tra ultimi, un incontro di due mondi opposti che non si scontrano: “Barboncino” e Renato, due teneri perdenti: il primo affannato nella rincorsa all’arricchimento (o, per meglio dire, alla sopravvivenza); il secondo immune al virus dell’avere e – come un vero indiano d’America – compreso in una visione meno famelica e più armoniosa del rapporto uomo-natura.
E’ una sorta di lucida follia la sua, che gli consente di indicare nella ricchezza materiale a tutti i costi una minaccia alla pace sociale e di individuare nella “ciminiera” degli yankee, che ha devastato le sue praterie e che appare sullo sfondo del racconto, un’aggressione all’umanità e all’ambiente.
E’ attraverso il suo sguardo da diverso che Rubini introduce nel lungometraggio una riflessione socio-politica sugli eccessi della società dei consumi e, agganciandosi alla realtà tarantina, sul drammatico compromesso salute-lavoro. Lo fa senza ridondanze, quasi en-passant, in maniera lieve ma efficace, non distraendosi dall’asse centrale Tonino-Renato, emarginati dalla visione del mondo pressoché antitetica, che, dopo essersi conosciuti, non cambieranno il loro modo d’essere, ma impareranno a rispettarsi e a proteggersi l’un l’altro.
E’, perciò, in questo senso, “Il grande spirito” una storia incentrata sui temi della tolleranza e dell’altruismo; e soprattutto, un invito a non fermarsi alle apparenze.
Magistralmente interpretato dalla coppia Rubini e Papaleo, che qui giocano di contrappunto in un’equilibratissima alternanza tra incanto e disincanto, “Il grande spirito” è costruito nei suoi primi venti minuti come action-movie e concluso alla maniera di un western in salsa meridionale.
Nel mezzo, è un racconto sospeso tra commedia e dramma, in cui il regista presta molta attenzione a non far pendere eccessivamente la bilancia dall’una o dall’altra parte.
Il risultato è un racconto in cui si sorride e ci si commuove con un’alternanza quasi aritmetica. Ogni sequenza drammatica è subito stemperata da una battuta risaltata dal dialetto pugliese; ogni scena comica trova l’immediato contrappunto nella realtà degradata che circonda i due strampalati sodali.
E’ proprio questo equilibrio di toni il punto di forza del film, che evita eccessi e si mantiene leggero e credibile.
Non a caso, “Il grande spirito” si mostra debole proprio in quei pochi passaggi (ad esempio, i flashback che riguardano Renato) in cui a Rubini non riesce il fortunato mixage.
Risultano, inoltre, altri piccoli difetti, specie nelle sottostorie che o – come nel caso dello speculatore che tenta di circuire Renato – appaiono disegnate in maniera un po’ approssimativa, oppure – come nel caso della bella Teresa (Ivana Lotito) costretta a prostituirsi dal marito – pur risultando ben costruite, danno l’impressione d’essere risolte in maniera troppo spiccia.
Ma nel complesso, “Il grande spirito”, è un film gradevole e poetico, animato da un buon ritmo e sostenuto da una sceneggiatura che, al netto dei succitati difetti, si rivela abile nel valorizzare i caratteri dei due protagonisti e nel metterli in relazione.
In breve, si tratta di un buon film, probabilmente sottovalutato, che, pur non essendo un capolavoro, regalerà senz’altro allo spettatore buona compagnia e svago intelligente.
Non è certo fatica sprecata dedicargli un paio d’ore del proprio tempo.
Spiritoso e profondo.