Nessuna medaglia nonostante un cast di stelle
La storia della Medal Of Honor postuma a un soccorritore paracadutista durante la guerra del Vietnam, viene riproposta al cinema da Todd Robinson, che sceneggia inoltre i dialoghi e sfrutta una plurima produzione iper sfarzosa per concedere l’onere ed onore di raccontarla a un cast all star!
Wiiliam Pitsenbarger, per tutti Pit, è un angelo che presta aiuti ai derelitti soldati della Big Red One Division, persi nelle trappole in veste di foresta vietnamita, rinunciando alla propria incolumità allorquando viene richiamato in elicottero a fine missione, preferendo invece vivere e morire gli ultimi attimi a fianco dei quasi spacciati marines, compiendo veri e propri sacrifici per salvare esistenze, rinfrancare i feriti o concedere l’ultimo lustro ai prossimi caduti. Anni dopo coloro che testarono sulla loro pelle tali nobili gesta, cercano di ottenere il prezioso riconoscimento per il commilitone morto, grazie al quale possono oggi proseguire un cammino dignitoso, con gli spettri viet cong però sempre alle calcagna.
Bella trama per una vicenda vera, forte e triste, snodata poi nelle sfaccettature psicofisiche dei reduci che prestano la loro testimonianza pro-eroe, nella bontà d’animo progressivamente in crescendo del giovane avvocato che si occupa del caso e in una torbida trama semi politica di occultamenti e gerarchie da rispettare, a discapito della gloria di un valoroso e immolato soldato/medico.
Impietoso purtroppo il paragone che vira subito verso il Desmond Ross di Mel Gibson, lì si vincitore di medaglia (in tutti i sensi), sebbene il suo milite fosse obiettore e non “dottore”. In La Battaglia di Haksaw Ridge difatti, a parte un magniloquente sonoro appaiato al montaggio perfetto di John Gilbert, il didascalico racconto che qui Robinson affida indirettamente ai suoi attempati camei, viene sostituito dagli infernali timori del protagonista in prima persona, esaltando così nell’eroe comune la reale ed intrinseca paura d’animo, un coraggio impavido e il prode orgoglio di chi va al fronte pacificamente, contrastando le tacite regole mortali di chi impugna fucili piuttosto che aiuti morali o cure sanitarie.
La scelta di campo che si compie in questo film, porta altresì a un risultato che fa tutto tranne concedere l’aurea di icona a un uomo cotanto valoroso e ardente, indottrinando in pratica un noioso resoconto sulle “avventure” compiute in quelle giungle fatali da soldati oramai perduti, decantando quindi se stessi e la propria resilienza a continuare una vita toccata da troppi shock di chi è morto e sopravvissuto più volte, a discapito di quella del povero Pit. L’errore maggiore è quello di narrare il racconto solo al plurale e per sentito dire, anziché scavare nei perché di un’indole così amorevole e sacrificale di un patriota come pochi e senza rinunciare magari a qualche riempitivo ad personam, che serve infine solamente ad esaltare la recitazione di ogni stella presente, cosa di cui francamente non se ne vede il motivo.
Non ci riescono nemmeno due incantevoli Christopher Plummer e Diane Lane nei numerosi racconti adolescenziali sul figlio, loro anziani e quasi terminali ma fieri di aver cresciuto un ragazzo sui generis. Ed Harris e Samuel L. Jackson poi, esibiscono lo storico acting feroce e improvvisato che li ha portati nell’olimpo di Hollywood, concedendo ai loro Ray e Takoda l’alone di belli e dannati da terza età, a differenza del di lì a poco compianto Peter Fonda, che grossolanamente esce fuori dal contesto, sovrastando così insieme agli altri due la personalità di chi invece essi dovrebbero rivalutare. Mentre il Tulley di William Hurt almeno rimane nei binari di calma e imperturbabilità apparente, impresentabile risulta l’ultimo “marpione” mostrato, un John Savage troppo hippie per immedesimarsi in un moderno generale Kurtz e poco sconvolto interiormente per rifarsi al suo Steven de Il Cacciatore.
Non convince infine il ruolo da protagonista per Sebastian Stan, al primo lungometraggio serio e corale, perso pure lui a fare da sparring partner al temperamento individualista delle vecchie glorie presenti, fallendo malamente nell’unico momento in cui deve redimersi ed emozionare, quando il viaggio verso i lidi dannati – qui riprodotti in Costarica e Thailandia – lo porta a buttarsi anima e corpo troppo velocemente e senza mordente nella battaglia sul riconoscimento della medaglia più ambita.
Se questa pellicola doveva restituire dignità e onore a un piccolo e sconosciuto eroe, sviscerandone a fondo magnanime umanità e fratellanza, la missione è fallita; ciò che rimane difatti, poco si discosta da un’ennesima attestazione su quanto brutale sia la guerra, niente più di quello che si può trovare in un freddo reportage!