Annoiano i reduci di Spike Lee
Le morti violente verso i neri d’America e successive marce da Black Lives Matter non potevano lasciare indifferente Spike Lee, che come un elefante in una cristalleria firma tutti i crediti di questo Da 5 Bloods – Come fratelli, iniziato ad aprile 2019 e per l’appunto immesso dall’etere nella focosa primavera 2020. Ereditato da una vecchia sceneggiatura nei cassetti stars and stripes, lo scopo primario del direttore d’orchestra è proprio quello di elevare il ruolo spesso secondario e abusato dei soldati afroamericani durante il conflitto vietnamita!
Patriottico sui generis, icona pro minoranze ante litteram e genio ribelle dietro la cinepresa, il mito georgiano ultra sessantenne sciorina un film lungo e prolisso, a causa di un complesso arco narrativo impossibile da limitare, ma all’interno del quale immettere consistenti e molteplici frame distinti l’uno dall’altro, per rimembrare a chi visiona l’epoca di riferimento, le ingiustizie di una guerra infinita, le losche trame che la condizionarono e le ribellioni civili scaturite anche dalle voci alternative dei Martin Luther King di turno!
Fatto da un altro tale dispendio di energie avrebbe avuto un collasso nei giudizi, sia per la fluidità di una trama cotanto allungata da espedienti esterni, che nella solidità dei dialoghi fra i protagonisti. A Spike Lee però tutto è concesso e perdonato, data la lotta continuativa con la quale ha caratterizzato la sua strepitosa carriera di ispiratore di verità multietniche, nonostante in alcune situazioni, quali questa, lo scopo primario, cioè restituire valore e dignità a militari “secondari” e “sacrificali”, rimane dispersa nell’aria!
Caricaturali, forzate e logorroiche saranno difatti le storie introspettive che perdureranno per più di due ore, intervallate da immagini antiche, per “ricordare” all’utente ciò che però si è già visto in centinaia di documentari, e che non daranno il giusto spessore ai superstiti di una battaglia nella battaglia.
Quattro veterani di colore si ritrovano dopo molto tempo, ognuno carico di tormenti interiori e problematiche economico sociali svariate, per ritornare nei vecchi luoghi di combattimento, a seguito della risalita da terra, per uno smottamento, dell’aereo nel quale avevano inaspettatamente recuperato una cassa piena d’oro nel 1971, contenuto originariamente tenuto loro segreto dalla Cia ma scopo primario di una sanguinosa missione ad essi affidata!
Lee concede ai suoi eroi, ormai dannati nell’animo, il ruolo di vendicatori di una patria che li ha usati non come difensori di bandiera, ma vagabondi marginali in vicissitudini losche e colluse, rischiando la pelle al pari degli altri, senza tuttavia poter ambire alla resurrezione spirituale una volta rispediti a casa.
Il film accompagna le avventure dei novelli esploratori in meravigliose terre tuttora malate, malsane e psicologicamente spirate all’infinito, di un Vietnam (e Thailandia) moderno nei colori ma consumato nell’anima, dove i suoi reduci appaiono i gemelli di Paul, Otis, Eddie e Melvin, ambedue facce di una medaglia sporca moralmente e a caccia di rivincite materiali!
Spike Lee sfrutta una produzione ultra milionaria, fra le più costose a cui abbia mai fatto affidamento, gigioneggiando a spasso nel tempo tra rapporti d’aspetto differenti a seconda del decennio in cui la pellicola gira, in digitale e con le storiche ed emblematiche 16 e 35 mm, approfittando di una contemporanea e luminosa fotografia.
Per produrre realismo a un’impresa così pazzesca, pure nel cast il mito sovversivo offre la resurrezione da un curriculum di second’ordine a Delroy Lindo, vera punta di diamante del gruppo, Clarke Peters, Norm Lewis e Isiah Whitlock, tutti all’ipotetico ruolo della vita! Il deus ex machina della vicenda però è Stormin, il Norman del compianto Chadwick Boseman, ancora perfetto in un’altra prova magistrale, nonché caposquadra del quartetto durante il conflitto, ma morto nelle operazioni a difesa dei lingotti d’oro. Nei reduci è tuttora presente eccome dentro la propria mente, e rappresenta per l’uno o per l’altro una guida mistica che inconsciamente unisce la loro psiche recondita!
Le colpe della segregazione razziale sono velate ma annusate certamente pure in questa ambiziosa opera, che purtroppo porta Lee a tentare per l’ennesima volta di affrontarla e sconfiggerla attribuendole tenebre e misfatti dei suoi protagonisti, distrutti nelle oramai disperse vite a causa quindi esclusivamente del trattamento governativo a stelle e strisce verso i neri!
Ovviamente ciò è veritiero in numerosi contesti, ma non nella famigerata guerra del Vietnam, pietra miliare fra tutte per mortalità interiore corporea a lungo andare: è solo questa la ragione se un veterano ha bruciato la propria esistenza, ripudiato o non riconosciuto figli, sperperato denaro e ammattito l’identità!
L’intento del regista invece, anche stavolta, è spingere l’acceleratore per cozzare brutalmente contro il razzismo dell’establishment USA, torto che fa poi venire meno il raffronto fra alienazione e follia postuma americana con quella vietnamita, ciò che di più bello ci lascia questo lungometraggio. I due avamposti infatti sono vittime allo stesso modo di una contesa evidenziatasi brutale come poche, ed entrambi cercano recupero sociale e rivincita nei confronti dei regimi ai quali hanno regalato orgoglio e dignità!