Fino all’ultimo demone
I demoni interni alla mente nel passato, presente e quelli prossimo all’avvento!
Tutto ciò tratta questo più che ventennale progetto di John Lee Hancock, convinto di cedere i suoi scritti ancora una volta alla pragmatica regia dell’aficionado Clint Eastwood, prima di prenderne finalmente i crediti in proprio e girare un noir psicotico dei tempi andati, riprodotto oggi in modo sublime grazie a un tris d’assi che ne eleva l’oscurità all’eccesso!
Deke, un detective prossimo al deterioramento, soprattutto intrinseco, vive i rimpianti di un’esistenza lavorativa a caccia di serial killer di giovani ragazze, il più delle volte vicino ad indizi decisivi ma immancabilmente poi gabbato da un destino crudele, che lascerà intatta nella sua anima rammarichi e sensi di colpa dolorosi e laceranti. Oggi vice sceriffo pensionante, vede il novello capo Jimmy speranzoso di accelerare i processi di ricerca e inseguimento verso nuovi assassini, i modus operandi dei quali rasentano la somiglianza coi vecchi casi a cui venne assegnato agli albori della carriera.
Nella Los Angeles anni 90, il vecchio poliziotto Denzel Washington perciò prova ad affiliarsi a quello rampante di Rami Malek, per redimere le frustrazioni di un tempo e mettere al suo servizio la saggezza di chi ha gettato via interamente vita e ambizioni.
Hancock ottiene brillantemente lo scopo di proiettare una pellicola estremamente dark, limitando quindi l’action ai costanti flashback di Deke, presenti continuamente in ogni frame allorquando si appronta ad isolarsi con se stesso, mentre il suo giovane collega sfiora una sicurezza che man mano che passa il tempo diviene altresì contigua alla mortificazione, ed alla memorabile ambiguità del peccatore Albert Sparma di Jared Leto, nell’ennesima trasformazione fisica trionfale.
Il buio costante di una fotografia cupa e le scene notturne, intervallati dalle luci di bar squallidi o locali equivoci, rappresentano il tenebroso muoversi perpetuo delle lancette, nemico principale di ogni soccorritore di scomparsi, e la musica di un asso come Thomas Newman aggiunge pathos a dismisura.
Sta tutto qui l’intento di un lavoro meticoloso, che prova ad appaiare e assimilare la sconfitta di ogni assiduo servitore della legge, portato sul carro dei vittoriosi esclusivamente a termine mandato, se arrivato a buon fine, oppure a morire interiormente in modo progressivo per aver fallito la prova.
Quel che Deke cerca in questa storia infatti, più che risollevare le sorti di una città devastata dalla violenza psicopatica e maschilista, è cercare una redenzione privata sotto forma di aiuto nei confronti del sodale, il quale gli riporta perfettamente in testa ciò che nel suo trascorso c’è stato e non ci sarà più!
Hancock così mimetizza un bellissimo poliziesco con arco narrativo complesso ma scorrevole ed intrigante, in un introspettivo saggio verso la mente pericolosamente lacerata di chi ha la responsabilità di riportare a casa una rapita, vivendo la disperazione dei suoi familiari, l’assenteismo dal proprio focolare, la pressione di media e superiori ed infine il contatto coi numerosi sospetti, tutti contemporanemante colpevoli ed innocenti.
In questo lasso temporale però, una spiritualità vicina alla depressione non trova rifugio da nessuna parte, e lo specchiarsi costantemente senza ottenere giovamenti provoca una latente dissoluzione morale!
La soglia che demarca la differenza fra buoni e cattivi, heroes e villain, prodi e vigliacchi, è sottile, e alla fine della proiezione confonde eccome chi osserva, stupito e attonito nel chiedersi se le logiche conseguenze di dare a tutti i costi un nome al colpevole, portino a non distinguere ciò che è giusto o sbagliato e a distruggere l’esistenza di chi naviga a vista!