“In tema di aborto Kant ci ha insegnato che l’uomo va trattato sempre come un fine e mai come un mezzo. Obbligare le donne alla generazione ogni volta che sono, rimangono incinte, significa trattare il corpo delle donne come mezzo di riproduzione, ma trattare il corpo della donna come mezzo di riproduzione confligge appunto con l’indicazione di Kant, che poi non è solo quella di Kant ma anche l’indicazione cristiana, che l’uomo va trattato come un fine e non come un mezzo, che l’uomo è persona e non strumento di generazione”( Umberto Galimberti).
Francia anni Sessanta. Anne vuole diventare un’insegnante di lettere. È più emancipata sotto ogni aspetto rispetto alle compagne di classe, o forse è meno ipocrita. Dopo un rapporto occasionale rimarrá incinta. L’aborto è illegale ed Anne si vedrá costretta a compiere una serie di atti estremi col fine di sbarazzarsi della creatura che porta in grembo. La ragazza non intende rinunciare alla sua individualitá e alla sua affermazione professionale.
L’illegalitá dell’aborto è un tema che il cinema, soprattutto quello europeo, mette in scena da anni e in maniera estrema. Nel 1988 Claude Chabrol in “Un affare di donne”, affrontò la storia di una donna nella Francia occupata dai nazisti che sotto compenso economico praticava l’aborto. Un racconto sull’aviditá umana e sulle conseguenze delle ambizioni borghesi. In “4 mesi, 3 settimane, 2 giorni” (2007), il romeno Cristian Mungiu portava su pellicola la vicenda di una ragazza incinta che nella Bucarest del 1986 (anche lí l’interruzione di gravidanza non era legale) si faceva aiutare dall’amica Olga nella ricerca di un medico disposto ad attuare l’intervento. La grandezza del film di Mungiu risiede nella spietata descrizione di una societá vittima di una politica che schiaccia tutto e tutti sotto una cappa amorale, dove le due ragazze si preparano all’aborto come se stessero per andare a prendere un drink e dove tutto è governato dal dio denaro. “La scelta di Anne-L’événement” è più lineare e diretto rispetto ai due film sopracitati e per questo più “facile”, pur contenendo svariati pugni in pieno stomaco. Audrey Diwan riesce perfettamente a coniugare la descrizione dell’emotivitá legata all’aborto alla rappresentazione precisa di un certo tipo di societá, e lo fa attraverso una messa in scena che ricorda quella di Abdellatif Kechiche e dei fratelli Dardenne. La macchina a mano pedina Anne, le sta sempre addosso e quando la riprende in primissimo piano è per sondarne la psiche. La Diwan mette fuori fuoco ciò che circonda la protagonista, scelta funzionale alla rappresentazione della sua alienazione, che crescerá nel momento in cui la sua stoica decisione prenderá forma. Un film necessario per ribadire quanto il corpo della donna sia da sempre quello più martorizzato in nome di un patriarcato feroce e di una societá bruta ed ipocrita pronta ad assoggettare chi è più debole. Forma e contenuto trovano un buon equilibrio in un’opera che andrebbe fatta vedere a quelle fazioni politiche che ancora hanno da ridire sull’aborto. “La scelta di Anne-L’événement” ha una sua importanza sotto il punto di vista sociologico ma molto meno sotto quello cinematografico, soprattutto se paragonato al film di Chabrol e a quello di Mungiu. Un lungometraggio di pancia e di cervello, talmente limpido da essere didascalico ed educativo. L’arte, in questo caso quella cinematografica, meriterebbe sguardi nuovi, articolati e allegorici, soprattutto su tematiche già affrontare in passato e in modo più radicale da altri registi. Vincitore del Leone d’Oro alla Mostra d’arte cinematografica di Venezia 2021.
Straordinaria Anamaria Vartolomei, corpo e anima del film.
“Se gli uomini potessero restare incinti, l’aborto diventerebbe un sacramento” (Flo Kennedy).