Gli anni dei Troubles negli occhi di un bambino
Kenneth Branagh colpisce e lascia il segno grazie a un introspettivo viaggio nei Troubles dell’Irlanda del Nord anni 60 e le truculente faide fra cattolici e protestanti, che piantarono a terra centinaia di ragazzi in nome della religione.
Belfast è un biopic entusiasmante, nel quale il cineasta omaggia la classe operaia e tutte quelle famiglie che all’epoca vivevano solo per amare i propri cari, sebbene sullo sfondo veleggiavano feroci battaglie e guerre civili.
La sua opera si differenzia dalle altre del passato, dato che la narrazione e la storia stavolta avvengono al di qua delle barricate e non all’esterno, distanziandosi perciò da chi lotte e proteste le organizzava e combatteva, per schierarsi invece a favore di chi provò a scampare la pelle e restituire ai propri figli infanzie e adolescenze già perdute.
Attenzione però, questo non vuol dire che il regista/sceneggiatore abbandoni decenni più tardi quegli ideali per cui suoi vecchi concittadini rischiarono vita e perdizione seguendo dei valori morali, ma lo scopo personale è quello di elevare la bellezza smarrita di una città devastata da divisioni interiori, che non permise perciò a nessuno di vivere l’esistenza dei sogni!
Per Branagh quindi, bambino e clone del piccolo Buddy, qui il dolcissimo e semi debuttante Jude Hill, non ci sono vinti o vincitori ma soltanto vittime di un’ingiustizia lunghissima, che ha troncato all’epoca giovani vite e abdicato ogni tipo di traguardi e desideri reconditi.
La regia incanta per un modus operandi coerente con l’introduzione appena accennata, shockando lo spettatore soltanto nelle primordiali sequenze, in cui si abbinano cruente azioni terroristiche nei quartieri “segnati” dai nemici ai giochi fanciulleschi delle viuzze adiacenti, scortando poi con dinamici piani sequenza la fuga figli per mano delle mamme in cerca di riparo e del coprifuoco serale!
Da qui in avanti saranno dei significativi campi medi a farla da padrone, per esaltare le innumerevoli e introspettive confessioni e rese dei conti domestiche all’interno di mura mai così proletarie ma altresì protettive: un allegorico riferimento per l’appunto alle trincee in tempi di guerra.
Agli occhi del Branagh bambino furono amore, pace, unione familiare e prospettive futuristiche in luoghi incolumi i temi che rendono oggi valorosi i congiunti di Buddy e un’intera generazione di antieroi, capaci costantemente di donare calore nonostante una colonna sonora fatta di bombe e presenze governative solo sotto forma di tasse!
Il regista perciò omaggia se stesso in primis, ringraziando a modo suo madre e padre, dei convincenti Catriona Balfe e Jamie Dorman, lei donna forte e risoluta ma dolcissima nell’intimità e lui uomo assente per mantenere la prole, ma disposto a tutto per proteggerla, persino a fuggire dai propri “compiti” religiosi!
Drammatici e toccanti gli atteggiamenti maturi verso il fratello maggiore e le spiate di Buddy durante gli alterchi dei suoi per decidere presente e futuro, fuga o resistenza, lotta o solidarietà!
Simboliche inoltre le numerose feste di quartiere, i balli e i simpatici aneddoti per esorcizzare una terribile guerra in corso e rendere lo sguardo già uomo dei bambini il più felice possibile!
Il grigio, bianco e nero di una fotografia malinconica ma pur speranzosa accompagnano la proiezione verso vette infinite, al pari del montaggio eccezionalmente assemblato e ad un sonoro portentoso, appaiati al bellissimo sound del sempreverde Van Morrison.
Una sceneggiatura forte e dolce allo stesso tempo non banalizza mai gli eventi, e un film sostanzialmente di guerra parcheggia gli assidui combattimenti – reali o interiormente astratti che siano – da una parte per virare nel biografico libro dei ricordi, commuovendo dall’inizio alla fine con un costante sorriso sulla bocca.
Si esaltano in dialoghi così intimistici le verve di due straordinari attori quali Ciaran Hinds e sua maestà Judi Dench, non per caso assoldati dal cineasta irlandese a decidere in un certo senso le sorti della famiglia Kenneth/Buddy.
Belfast non è soltanto il miglior film della stagione, ma un testo di storia moderno scritto in chiave pacifista!