Il cinema di Lanthimos colpisce ancora
Il cinema di Yorgos Lanthimos si arricchisce di un’altra gemma preziosa, dove l’esilarante verve comica si mischia più che al nero proprio a scenografie horror spinte, e costumi ed epoche intangibili rimandano esclusivamente al Vittoriano.
In questo universo caleidoscopico la fa da padrone la Bella di Emma Stone, creata a “tavolino” dall’eccentrico doc God Baxter, che unisce il corpo di una donna suicida nel Tamigi col cervello del neonato sopravvissuto che aveva in grembo.
Basta questa onirica e psichedelica trovata del romanzo di Alasdair Gray per sprigionare nel visionario regista ciò che serve a fare della protagonista, bambina ma sensuale, una sorta di icona femminista ante litteram, l’ingenua combattente che andando avanti negli anni incontrerà nello squallido machismo approfittatore e nel maschilismo libertino quel che le serve per sperimentare piaceri e rettitudini che arriveranno persino a commuovere.
C’è pure Soderbergh nel Baxter dello splendido Willem Dafoe, con la differenza che il dottor Thackery della New York di inizio secolo scorso univa genio, sfrontatezza e dipendenza da droga, che ne acceleravano ego e brama scientifica, mentre qui il “padre di Bella” si comporta addirittura come un educatore alle prime armi, che cerca di costruire col cuore il futuro della sua amata, senza contare però i pericoli a cui la sta esponendo.
La sua creatura è infatti il prodotto fatto e finito di una lunga e tortuosa essenza fatta di esperimenti – in primis su se stesso – lugubri e incroci animali che ne hanno fra l’altro deformato l’immagine.
Se la Stone buca così tanto (forse troppo?) lo schermo da far apparire sodali di elevato calibro come Ruffalo e Dafoe pedine ai suoi piedi, la pellicola recupera altruismo grazie ad una regia sì fresca ma altrettanto edulcorata, con carrellate continue mixate ad angolazioni distorte, esuberanza coloristica a visioni monocordi e affievolite, inquadrature deformanti a tagli soggettivi.
Quel che rimane costante per tutta l’opera è la spiazzante e grottesca sceneggiatura, che unita ai numerosi rimandi e omaggi del passato non può che rinviare ai Frankenstein truccati da Jack Pierce, personalizzandoli però dal continuo illusionismo distorto di Lanthimos, proprio marchio di fabbrica assieme al realismo onirico con cui si è fatto un nome!
Baxter salva un’esistenza infante e la getta in avanscoperta all’interno di un corpo adulto, sensuale e libidinoso, ma quel che lascia il segno è rappresentato dalle perversioni incontrastabili focalizzate più sugli uomini che a turno “vivranno” Bella che su quest’ultima, bambina che in epoche diverse scoprirà sì ogni tipo di pulsione, ma resterà bensì sempre su un piano dignitoso superiore rispetto ai suoi commensali, scoprendo tristemente il significato di povertà, soprusi e avidità!
Il film scorre e arriva a compimento in ognuna delle sue fasi, tutte intriganti seppur bizzarre, che manterranno nell’aria una morale insperata, dato che il viaggio psichedelico di Bella non apparirà infine tanto distante da quello convenzionale in dote a chiunque, benchè in epoche bigotte e rigide.
Difatti, la “nascita” della giovane donna e la crescita dei relativi desideri reconditi, poi esplosi ed esplorati, la consapevolezza di fare breccia sull’altro sesso in modo spinto e piacevole e il tornare nel proprio covo per una matura resa dei conti sono stati tutt’oggi all’ordine del giorno.
Quel che cambia è il modo di raccontarlo, in pieno stile Lanthimos: oscuro, nichilista e cinico!