The Holdovers – Lezioni di Vita (2024)

Il ritorno in grande stile di Alexander Payne

Sei anni di pausa sono serviti ad Alexander Payne per ripresentarsi con un lavoro che non può non rimandare a Nebraska, ultimo acuto di una carriera da story teller leggero, carismatico ma soprattutto pungente.

Ed è proprio qui che The Holdovers – Lezioni di Vita ripristina le vecchie dottrine che il regista sembrava un po’ aver spento nel non entusiasmante Downsizing, richiamando a sé il sodale Paul Giamatti che – anch’egli – dopo qualche stagione sabbatica a livello qualitativo, ritorna a bucare lo schermo con quella fascinosa anarchia da simpatica canaglia che lo ha reso un attore importante.

Il dolce e amaro, le riflessioni grottesche sulla bellezza e difficoltà della vita, il tirare a campare nelle vesti di underdog sono tuttora i mantra che Payne esige da questa commedia affascinante, scorrevole e ricca di significati, che riporta ovviamente a Peter Weir, senza la tristezza latente ma con l’usuale verve amara e a tinte dark.

New England anni 70, Natale, le tossine del Vietnam, Barton Academy e un rinomato e ricco liceo privato: è in tale contesto che dei giovani rampolli della società bene usufruiscono di un’educazione agevolata dalle tasche di mamma e papà; ed è qui che un professore dedito al rigore si “conquista” le antipatie dei propri studenti, ormai stremati e vogliosi di sfruttare l’imminente pausa invernale!

Purtroppo per Paul Hunham, gli viene assegnato l’ingrato compito di fare da “balia” al giovane Angus in questo periodo, dato che la madre è impegnata nel secondo viaggio di nozze della sua vita. A fare compagnia a una coppia agli antipodi, vista anche la ribellione intrinseca del ragazzo, ci sarà la cameriera Mary, a cui è appena morto il figlio in guerra e che assumerà le sembianze strepitose di Da’ Vine Joy Randolph, premiata quindi in modo sacrosanto alla Notte degli Oscar!

Tre mondi e modi di ragionare e vivere diversi perciò si intrecciano costantemente in una narrazione ricca di spunti, che va a braccetto con la brillante scrittura di David Hemingson e l’eccentrica, anticonformista ma intimistica regia di Payne, che per l’appunto e come in Nebraska, si affida impeccabilmente alla sceneggiatura altrui, portando di suo per appaiare quell’epoca molteplici trucchi vintage, dagli zoom al dinamismo della cinepresa fino al 35mm.

Queste tre entità sono tutte capaci di spostarsi e sposarsi appresso alle numerose sfaccettature caratteriali del trio e del tempo in cui essi interagiscono.

Scuola, difficoltà adolescenziali e generazionali, insicurezza, depressione e conflitti di mezza età, insoddisfazioni lavorative, tragedie, rimpianti, guerra, razzismo, scontri classisti e sociali: The Holdovers – Lezioni di Vita senza annoiare e cadere nel politicamente corretto affronta ognuno di questi temi universali, grazie a tre mostri sacri che si superano dinanzi la camera.

Paul Giamatti, la garanzia, “dinoccola” tuttora come ai bei tempi, si impone con la sua gigantesca impertinenza, un’imprevista sfacciataggine di chi invece è schiavo della propria esistenza e lavoro, ma che via via che i minuti scorrono riesce ad aprirsi e lasciarsi andare ai due commensali con cui divide gli spazi e l’aria claustrofobica di chi è continuamente deluso.

A lui si congiungono due crack: la matricola Dominic Sessa e la già citata Da’ Vine.

Il ragazzo sembra un personaggio nato pronto, fatto e finito come se reduce dalle pellicole di John Landis, irriverente e quasi sovversivo ma che per merito del quale si apprezzerà il rifiuto di un sistema sociale classista e selettivo.

Mary Lamb vive per la Terra dei Sogni e i desideri di rivalsa che offre (dovrebbe offrire) ai bisognosi, ma che si ritrova bensì a piangere un figlio, non risparmiato da una guerra che invece punta e flagella i poveri a discapito dei benestanti, ancor più se bianchi!

Un film importante, fra i migliori della stagione, che scorre in binomio fra l’educativo e lo spontaneo, e che ci lascia in dote il continuo confronto fra anime differenti, generazioni e modi di vivere, mantenendo invece inalterati i sogni di ognuno, che alla fine e per sempre sembrano eguagliarsi.

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