Un’altro gioiello del vecchio Clint
Clint Eastwood supera ancora gli ostacoli anagrafici e dirige una semplice, normale ma piccola gemma, rifacendosi al romanzo di N. Richard Nash “Cry Macho”, racconto da anni offerto alle produzioni hollywoodiane ma invece sempre fermo al palo.
Sebbene ultranovantenne, il regista attore non abbandona la tigna dei tempi migliori ma anzi ritorna alle storiche e grandiose origini western, interpretando un vecchio cowboy addestratore di cavalli, ormai fuori dal giro e dai soldi che contano, vivente di ricordi che furono durante entusiasmanti gare da rodeo ma soprattutto senza lavoro.
Una missione remunerativa, offertagli dall’ultimo e ambiguo capo, consiste nel riportargli nella casa texana il giovanissimo figlio, disperso in Messico fra madre di facili costumi, vizi impenitenti e cattive frequentazioni.
Il sodale e immancabile Nick Schenk lo accompagna aggiungendo i soliti dialoghi gagliardi e piccati, forse perché come in Gran Torino e The Mule a scortare il Milo di oggi c’è ancora il mezzo automobilistico, stavolta sotto forma di rudimentale pick-up!
Bella inoltre la fotografia di Ben Davis al debutto con Eastwood e al solito impeccabile il montaggio classico di Joel Fox; a guidare la scorrevole avventura nelle distese di Albuquerque c’è poi la stimolante colonna sonora di Mark Mancina.
C’è poco in questa pellicola ma ciò che basta affinchè l’icona vivente si omaggi delle ultime prodezze ventennali, esaltando ulteriormente l’emarginazione sociale, l’immigrazione e la chimera chiamata “Terra dei Sogni”, e più di tutto i legami fra persone, alla base per redimere vite ormai fatiscenti.
Il rapporto freddo ma progressivamente amorevole che l’anziano comincia ad intraprendere con Rafo, l’istrionico semi esordiente Eduardo Minett, rimanda per forza a Million Dollar Baby, ed anche qui come lì la bravura di Eastwood sta nell’accentuare un’emozione vera, tangente e libera da compromessi, quasi obbligata verso chi sta bruciando gli anni migliori senza colpa propria ma a causa di un destino avverso.
Il protagonista senza volerlo comincia quindi ancora una volta la redenzione spirituale, affidando alla salvezza del suo “socio” adottato l’incarico finale della sua esistenza, pagando perciò un pegno ascetico col proprio animo per rimettersi in paro.
Se però sono passati circa 20 anni da quando la Maggie del ring venne accettata nel cuore dall’allora già “grande vecchio”, l’odierno finale speranzoso fa sottintendere che la voglia di chiudere i battenti per il regista è tutto fuorchè vicina, e anzi aspettative e desideri di ricostituire nuovi amori e affezioni permangono nella testa di Eastwood.
Seppur senza gli occhi di ghiaccio e l’imponente fisicità degli esordi, il veteranissimo Clint ci fa tuttora emozionare col suo burbero ma genuino modo di conquistare il prossimo, facendo ancora emergere quella dignità di fondo che permette al suo personaggio di superare ogni malefatta antica.
Ovviamente i molteplici scogli che si frapporranno fra la gloria e l’angoscia verranno affrontati in maniera più pacata che in passato, limitando gli inconvenienti e sostituendo improbabili sparatorie da cecchino o scazzottate da bullo con spassose furbizie stagionate o fughe e ripari fra locande e saloon moderni, dove fraternizzare o stilare le rese dei conti.
L’onnipresente gallo Macho viene assunto a simbolo dell’intero arco narrativo, una sorta di trait d’union che legherà per sempre il Giovane al Vecchio!