Ema (2019)

“Ema” rappresenta l’inizio di una nuova fase della carriera di Larraín.
Dopo quella autoriale, glaciale e politica di “Post mortem”, “Tony Manero”, “No-I giorni dell’arcobaleno-” ed “Il club” e dopo il dittico biopic di “Neruda” e “Jackie”, ecco “Ema” che inaugura l’era anarchica, libera ed indipendente ma non meno politica di Larraìn.
“Ema” è un furibondo ritratto di donna su celluloide, è un film sulle infinite potenzialità femminili (politiche, sociali, sessuali).
Un’ opera corporea dove la protagonista usa la propria fisicità per affermare se stessa, per sedurre, per nutrire il suo ego e per arrivare a raggiungere i propri scopi.
Ema balla e fa sesso, distrugge e crea e tramite i rapporti sessuali e la danza innesca una rivoluzione sociale.
LA DANZA.
Ema insegna danza in una scuola e balla per la compagnia di Gastón, coreografo e suo marito.
Lui ama un determinato genere di danza e di musica, lei vuole liberare il suo corpo e ballare il raggaeton tra le strade della città, nella metro, in un’ascensore panoramico.
Il rifiuto di esibirsi sulle note di un determinato genere musicale e in luoghi prestabiliti è la prima metafora che Larraín attua per raccontare l’inizio di un percorso anarchico/rivoluzionario.
IL SESSO.
Ema seduce tutti, uomini e donne, fa orge lesbo, ha bisogno di usare il sesso per ottenere ciò che vuole, il suo potere seduttivo è deflagrante.
Mai nel cinema di Larraín il sesso è stato affrontato in maniera così esplicita.
Esso non è solo piacere fisico, nel caso di Ema e del compagno non è nemmeno un atto finalizzato alla procreazione visto che lui è “un preservativo vivente”, non è gioia pura come non lo è la danza, ma è il mezzo attraverso il quale introdurre il caos nell’ordine prestabilito, è la seconda tappa di Larraìn per arrivare a ridefinire la società.
LA FAMIGLIA.
Gastón ed Ema sono una coppia in crisi, soprattutto dopo che hanno restituito il figlio adottivo con disturbi psichici ai servizi sociali.
Entrambi vivono tale avvenimento con parecchi sensi di colpa ma nessuno dei due sembra volersi prendere la propria razione di responsabilità.
Ema e Gastón litigano spesso, si insultano in un sottile ma crudelissimo gioco di rinfacci.
La macchina da presa riprende i loro scontri con grande precisione e sobrietà registica mentre gli attori si lanciano in battibecchi stracolmi di volgarità e la loro crisi di coppia è una specie di “Scene da un matrinonio” in salsa trash.
Se la figura maschile per Larraín è passiva, giudicante e totalmente incapace di prendere in mano la situazione, quella femminile è invece attiva, sarà infatti Ema a compiere una serie di azioni finalizzate a riavere il bambino adottato e poi restituito.
E alla fine dopo uno spregiudicato gioco di seduzione la donna riuscirà ad ottenere ciò che voleva.
Creando una famiglia allargata, slegata da ogni tipo di identità sessuale e da ogni regola borghese Ema e Larraín portano finalmente a compimento la loro rivoluzione.
Magistralmente in equilibrio tra la follia di “Climax” di Gaspar Noè e le meravigliose coreografie di “Suspiria” di Luca Guadagnino, tra le scenografie di “The neon demon” di NWR e l’ironia di Almodovar, “Ema” è un film modernissimo sia eticamente che esteticamente.

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