Ennesimo lascito di Clint l’immortale
Dopo Cry Macho, presumibilmente “ultimo film “ per Clint Eastwood, ecco che invece il leggendario cineasta replica con un altro lavoro, stavolta addirittura più sorprendente ed efficacie del predecessore.
Questo Giurato Numero 2 è difatti un saggio perentorio nonché fra i migliori degli ultimi 10 anni dell’iconico attore/regista, un’opera sulla giustizia sociale e morale che tocca il cuore di chi assiste, e mantiene alla veneranda età di 94 anni il genio californiano nell’olimpo di Hollywood.
Il lungometraggio che si svolge in un’aula di tribunale narra la vicenda di una burrascosa coppia di giovani fidanzati dedita a litigi e violenza, e l’accusa di omicidio volontario verso l’uomo, reo di aver picchiato la ragazza buttandola giù da un ponte.
Eastwood parte subito a spron battuto, senza ovviamente i virtuosismi degli anni passati ma con un modus operandi di estremamente facile lettura, sia come arco narrativo che direzione artistica.
Se i numerosi flashback utilizzati per rappresentare gli eventi svolti e le inquadrature statiche nel presente di giuria, testimoni e imputato, rendono fin dall’inizio pertanto l’idea dello svolgimento filmico, nel quale la colpevolezza dell’accusato pare su due piedi indifendibile anche per i precedenti penali per droga e violenza, il colpo di scena viene bensì rivelato immediatamente.
Fra i giurati infatti c’è un ex alcolista oggi giornalista redento e futuro padre di famiglia ma tuttora a caccia di riscatto e aiutato in comunità, che la sera della morte della ragazza ha investito con l’auto un corpo contundente, proprio nello stesso punto dove costei è stata ritrovata priva di vita e ricca di escoriazioni da caduta.
Senza attendere una confessione in un agognato e sorprendente finale, la cronaca svela il suo dramma interiore rapidamente, davanti ad un “tutor”, che però lo raggela auspicando una lunga detenzione in caso di spontanea ammissione!
Da qui in avanti Eastwood divide il film in tre fasi, ognuna delle quali responsabile di un’intrigante e scorrevole narrazione, dove emergono per l’appunto le perplessità morali di Justin Kemp, il reale colpevole (?), le arringhe continue in aula – seppur infine quasi amichevoli – fra pubblica accusa e difesa, con in palio pure l’elezione a procuratore distrettuale, ed a conclusione una veemente e ansiolitica trama noir di contorno, che serve a porre dubbi su ciò che sia effettivamente accaduto in quella tragica notte.
Ottimi poi gli interpreti, con l’ormai maturo Nicholas Hoult che mantiene comunque quell’alone di bambino impaurito e sperduto, appaiato alla lungimiranza di uomo giudizioso che deve decidere se salvaguardare il proprio futuro o cedere alla giustizia sia sociale che morale, perdendo però tutto ciò che faticosamente è riuscito a riconquistare, e le certezze Toni Collette e JK Simmons, che dispongono l’una dell’austera postura arrivista che progressivamente diviene indulgente e bonaria, e l’altro di un’animosità introspettiva costante che lo porta ad accostarsi all’incredibile verità!
Il regista impone al pubblico se possibile più di prima le sue convinzioni su quanto l’assioma del politicamente corretto rappresenti nella Terra dei Sogni un’ipocrisia sovversiva, che manda avanti il proprio mondo secondo convenienze becere.
Il mostro in prima pagina, il pessimo cittadino e il colpevole da odiare sono tuttora un’idiosincrasia da combattere, ripudiare, abbattere, persino se certezza e garantismo ancora non si sono pronunciate!
Il vecchio Clint eccelle nel non dare risposte a tutto ciò, lasciando drammaticamente a chi segue l’onere del verdetto, naturalmente impossibile da individuare, dato che nel frattempo un limbo tragico ci ha accolto appieno, il vortice inquieto che assale ogni cittadino onesto di fronte ad una scelta di vita tragica, quando l’alternativa fra salvare il proprio divenire oppure giustiziarsi di fronte ad una legge non sempre morigerata, trasforma l’animo umano in una cavità infernale!
Una giustizia, interiore o collettiva, che bada bene sembra si possa trovare perfino in modo imperfetto se non illecito, e che dunque rimanda ai fasti di Million Dollar Baby!
L’omaggio a Sidney Lumet è eloquente, seppur i giurati di Eastwood vivono il dramma in prima persona e immedesimano il loro quotidiano a quello di vittime e (presunti) carnefici, rispetto ad una non meno coinvolgente onestà intellettuale degli altri ma comunque severa e claustrofobica!
Un film non eccelso ma importante, deciso e assolutamente necessario, uno spaccato di esistenza drammatica a cui il vecchio decano ci dà nuovamente l’onore di assistere, quasi ad invitare ognuno di noi a sedersi in aula per prendere parte alla giuria, ma non per sentenziare le colpe altrui bensì le nostre!