Un padre a caccia di redenzione
Bellissimo questo lavoro di Tom McCarthy, meritevole di attenzione nelle future passerelle a premio, e capace di tramandare sicuramente ai posteri aspetti di vita reale sotto forma di redenzione maschile.
Il poliedrico regista firma tutte le credenziali di “Stillwater”, devastante e drammatico spaccato di esistenza comune, nel quale un trivellatore dell’Oklahoma di mezza età è costretto a fare la spola con la meridionale Francia marsigliese, tuttora flagellata da spasmi delinquenziali e dove la bellezza marittima e monumentale fa il paio con l’avvilente disagio giovanile periferico, per portare sostegno a sua figlia Allison, qui arrestata con l’accusa di omicidio verso l’inquilina studentessa nonché amante.
Matt Damon si veste da Bill Baker in modo spaventosamente empirico, mantenendo sì l’alone da ragazzaccio a stelle e strisce diventato adulto e senza più anima, ma obbligandolo poi a ricostruirsi una spiritualità andata ormai persa e a redimersi come essere umano, certo che i fallimenti a cui la sua vita è andata a sbattere – compresa la morte della moglie – siano da attribuire a lui!
L’ostile Marsiglia non fa inoltre al caso, e la completa assenza di qualunque attrazione per la lingua transalpina lo emargina totalmente dalla comunità. Sarà perciò un’attrice teatrale e mamma single del luogo a scortarlo nei meandri della latente disperazione che lo attanaglia, aiutandolo freneticamente a far riaprire le indagini e cercare un ragazzo indicato da Allison quale vero omicida.
Damon si prodiga con successo a trasporre la travagliata battaglia che ogni padre farebbe per salvare la figlia, benchè speranze ce ne siano poche e gli alibi appaiano quasi sfuggenti e al limite dell’ingannevole, ma la sua interpretazione – magistrale – va addirittura oltre, dato che il condannato a fine proiezione risulterà essere lui, afflitto da insuccessi tanto pregressi eppure continui e attuali.
La postura stanca e sconsolata che l’attore stars and stripes concede in dote, nonostante l’eroica missione, è quella di chi si trascina dietro macigni talmente pesanti da distruggere ogni certezza e non trovare più varchi per alcun tipo di aperture sentimentali ed emotive, necessarie per ripartire da capo ed essere sostegno primario a un congiunto recluso. Tali frustrazioni non portano nè appoggi nel presente e non lo ergono nemmeno a quella roccia su cui ogni figlio deve aggrapparsi e trovare protezione.
L’atteggiamento yankee in una città bella ma sostanzialmente fredda e senza alcun tipo di supporto, che sia sociale, giuridico e poliziesco, fa aumentare il dramma e l’ansia temporale di un uomo solo al comando.
D’improvviso però, la tenerezza tenuta a lungo nascosta dietro la rude immagine di un operaio dell’Oklahoma, si palesa di fronte a una bimba angosciosamente bisognosa di figure paterne e ad una mamma anch’ella dura solo all’apparenza ma nel concreto fragile e solitaria.
Pure qui McCarthy non ci illude a lungo, dato che l’incarico primario del “debole” eroe non può collimare affatto con un novello lieto fine familiare, ma anzi è prossimo alla deflagrazione.
La trama è totalmente tragica e drammatica, sebbene l’arco narrativo sia altresì lucido e scorrevole e porti inoltre molte sorprese a livello thriller e noir; grande merito questo del direttore sceneggiatore, che non ricalca perciò tematiche altrui ma si concentra invece esclusivamente sulla tragedia intrinseca di un padre così tanto prostrato nell’animo da abdicare le inaspettate ancore di salvataggio che gli si sono fatte di fronte, e terminare dunque “a modo suo” una missione impossibile.