Film strappalacrime del 2009, diretto da Lee Daniels e basato sull’altrettanto tragico romanzo della Sapphire: ” Push, la storia di Precious Jones”. Incredibile esempio di coraggio, ferma forza di volontà di una ragazza con un’autostima quasi nulla, vincitore di molteplici premi al Sundance Film Festival e di due oscar: per la migliore attrice non protagonista e per la migliore sceneggiatura non originale.
Precious non è soltanto la classica storia del nero emarginato in una società che lo vede ”diverso”, qui la condizione dettata dal pregiudizio è aggravata dal fattore: obesità. La ragazza, con più stupri alle spalle, una figlia down e un altro figlio in grembo (frutti dell’incesto paterno).
Nella sua vita quotidiana con la madre (una reincarnazione gotica della perfida Ursula della Sirenetta) che si rivolge a lei con epiteti raccapriccianti, accusandola di averle rubato l’uomo (orco dal quale la stessa madre avrebbe dovuto difenderla) l’unica via di fuga sono i suoi sogni, i suoi desideri, e quell’ostinata voglia di andare a scuola, sintomo di una lucida lungimiranza in cui la costruzione di un nuovo universo è soggetta alla fuga da quel mondo arido di stimoli e di cultura, soggiacente solo alle leggi del più gretto barbarismo umano.
La trama, se vogliamo, non è incredibilmente innovativa, in fondo basta accendere la televisione su un qualsiasi telegiornale per venire a sapere di un caso qualsiasi di violenza sulle donne e, come in Precious, anche altre pellicole cinematografiche era stato trattato questo tema.
Ambientato nel 1987, è la storia di Claireece “Precious” Jones (Gabourey Sidibe), una ragazza di sedici anni cresciuta in un mondo che nessuno mai vorrebbe conoscere. Claireece è incinta per la seconda volta di suo padre e a casa deve confrontarsi con una madre (Mo’Nique) arrabbiata e violenta che abusa di lei sia psicologicamente che fisicamente.
Precious frequenta il primo anno di liceo e, nonostante gli ottimi voti in matematica, custodisce un terribile segreto: è semianalfabeta. Precious è una ragazza dalla grandissima tenacia che dietro ad un’espressione impassibile cela uno sguardo curioso, spinta dalla ferma convinzione che esistano altre possibilità per lei.
L’innovazione, oltre all’estremizzare quello che è un ”caso umano”, con mille problemi estetici e interiori, è voler rendere quella che sembrava una ragazzina destinata a mollare, ad abbandonare i propri bambini, ad essere soggiogata dalla madre per tutta la vita, in una donna a tutti gli effetti.
Una presa di coscienza che la vita si può migliorare, nonostante le malattie o i problemi, che qualsiasi ostacolo si può superare con la perseveranza. Non c’è dubbio che Daniels volesse infondere un qualche messaggio (non troppo celato a dirla tutta) all’interno di questa rivisitazione cinematografica del romanzo della Sapphire.
E’ un messaggio che viene colto dagli spettatori soltanto alla fine, le vicende traggono in inganno nella fase iniziale che disegna la ragazza come la vedono gli altri, prima di entrare nella sua psiche: obesa, emarginata e analfabeta. Solo in un secondo momento si evolve, mostra la sua sensibilità, la sua forza.
Così, una comunissima ragazza si trasforma in un esempio da seguire, attraverso la sorta di monologo interiore eseguito dal regista direttamente sulla sua pellicola, abile quanto l’abile penna della scrittrice ad esplicare le emozioni dei propri personaggi.
Da non sottovalutare gli interpreti, il ruolo che hanno avuto sulla buona riuscita della pellicola: Gabourey Sidibe, protagonista indiscussa dell’intera vicenda, commuove lo spettatore ed è eccezionale nel mutare il suo sguardo(debole e mesto quando ci viene presentata e forte e determinato alla fine).
Per non dimenticare la madre di Precious, interpretata dalla splendida Mo’Nique, perfida e spietata fino alla fine, mesta e supplichevole quando si rende conto dei suoi errori. Subisce un’involuzione, al contrario di Precious che si evolve.
Davvero meritevole.