La difficile arte di essere diversi
Dolce, bello, profondo e soprattutto indovinato questo film sulle diversità sessuali e civili nell’America proibizionista del post secondo conflitto mondiale, rimasta però tale anche durante l’era evolutiva, malgrado baffi lunghi, calzoni a campana e stagioni dell’amore propagandassero cambiamenti epocali, e nelle decappottabili partivano i riff di Martha Tilton ed Eddie Miller prima e degli Isley Brothers dopo, buoni ad accrescere bagliori di speranza evidentemente solo di facciata.
E’ Alan Ball l’artefice di questo meraviglioso spaccato di esistenza “discordante” ma comune, che parte dagli albori dei fifties fino a narrarsi nel 1973, facendo spola fra la libertina Big Apple e la bigotta South Carolina. Non poteva essere altrimenti, dato che il pluri premiato sceneggiatore di American Beauty è un gay sostenitore dei movimenti per la liberazione omosessuale!
Zio Frank racconta la storia dell’ingenua e inesperta Beth, diciottenne rinchiusa psicologicamente dentro la cieca e tradizionale mentalità di una famiglia a Sud degli Stati Uniti, per la quale prendere un aereo, esplorare l’io e svezzarsi fuori casa è ancora un tabù insuperabile. Frank Bledsoe, suo zio appunto, è stato costretto invece a fuggire da questa realtà per motivi ancora più estremi: l’odio di un padre conservatore verso il figlio diverso e mai accettato!
E’ proprio la morte di quest’ultimo ad unire in un road trip uomo e nipote, che già attratti l’uno dall’altra, riusciranno a migliorare poi le crepe delle loro vite, accettando se stessi e preparandosi ad uscire da un guscio sigillato!
Il fidanzato di lui, l’irresistibile Wally di origine araba, sarà il terzo incomodo!
La pellicola concede al tentativo di emanciparsi nelle luci newyorchesi non altro che fumo negli occhi e specchietto per le allodole dell’anima di Frank, dato che i riflettori del mondo esterno, sotto forma di feste acculturate e un po’ aperte, stima di alunni sessualmente stravaganti e molteplici esperienze interpersonali lontane dalla normalità, non servono a combattere i demoni del suo spirito, che rivede costantemente “l’errore” adolescenziale quasi fosse un macigno indelebile, che arriva a far maledire persino la propria diversità e a far divenire il fuggiasco primo omofobo e razzista di se stesso!
Alcool, tormenti e angosce continue sono i sodali abituali, complici di una fuga costante verso derisione, scherno e finanche arresti da parte di una controcultura bacchettona e perbenista!
Bello il rientro di Paul Bettany nel cinema che conta, visto che l’intellettualità progressista del suo Frank si scontra quotidianamente con una latente depressione interpersonale che non lo abbandonerà, portandolo a drammatici sfoghi e rese dei conti, realizzando inoltre amaramente che lo stato di gay gli ha tolto più che dato, almeno fino alla “conoscenza” amplificata di Beth, uno splendido diamante grezzo dentro il corpo di Sophia Lillis, il cui sguardo speranzoso di chi vuole e deve ancora sbarcare il lunario buca lo schermo, oltre a salvare l’essenza quasi dispersa dello zio!
E’ difatti lei la bussola dell’intera pellicola, osservata dal parente in fuga quale rivincita e redenzione individuale, qualcosa da salvare e da indirizzare nella retta via, per non far inciampare anch’essa in alcunchè la possa allontanare da ciò che il destino e la vita le hanno riservato dalla nascita.
Sarà dunque lui a dover usufruire della genuina e sognante nipote, per rivalutarsi sia come omosessuale che compagno di una famiglia non convenzionale, oltrepassando gli infiniti martiri, rinunciando a bottigliette di whiskey, alle finte fidanzate e ad un tragitto alberato direzione lago, l’ultimo step verso il suicidio, superando a testa alta il terribile lascito di un padre padrone, l’odio di tutta una vita e anche post morte, e riappacificarsi con l’ordinario domestico!
La leggiadra sensazione di quiete che traspare in un mondo di “diversi” è il più bel regalo che questo film ci consegna in eredità, specialmente perché successivo a un percorso pregno di ostacoli e maldicenze!