Nemmeno Tom Hanks evita una goffa caduta di stile
La grandezza di Tom Hanks, le riprese virili di Miguel Sapochnik (Il Trono di Spade, True Detective, Iron Fist e Repo Men), la scrittura di Ivor Powell (Alien e Blade Runner) e la produzione di Robert Zemeckis: ingredienti squisiti per un sci fi post apocalittico che colpisca e resti nel cuore. Niente però risulterà più falso al termine della visione!
Difatti in questa storia è vero che c’è un po’ di tutto per attrarre lo spettatore ma il tutto in questione sembra essere sempre lo stesso, senza novità e inoltre con patetici e non essenziali dèjà-vu che rimandano a trame viste e riviste.
Futuro distopico, un mondo flagellato da eruzioni solari, l’ingegnere genialoide fra i pochi sopravvissuti assieme al proprio cane, il robot sua invenzione affinché possa sostituirlo nella speranzosa resistenza e i giorni contati prima di decadere: numerosi climax giocati male e in maniera goffa.
Hanks ci mette – as usual – cuore ed anima per empatizzare il suo Finch, arricchendolo di quelle spezie prelibate che lo hanno reso celebre, quali candore affiancato a grinta e sicurezza, arte di arrangiarsi e l’introspettivo senso di comicità persino in prossimità della tragedia.
Doti che appaiono sprecate in un arco narrativo impacciato e lontano dagli standard laboriosi ed intimistici delle intenzioni, ma invece più vicino al mainstream a stelle e strisce, dove i ruoli di salvatori della patria vengono altresì affidati ai muscoli dei Steven Seagal, Vin Diesel o Dwayne Johnson di turno.
Troppe sono le derivazioni occulte a cui il riferimento non può che andare, da District 9 ad AI fino a Io Robot, lasciando alla star in recitazione l’onere di sbrigliare le faccende di casa, permettendogli di riproporre (anche qui) un acting già vissuto alla Cast Away, dove il moderno Chuck Noland anziché organizzare un’impensabile lunga vita agli antipodi deve accelerare e scorgere l’arcano in breve tempo possibile, prima che venga spazzato via insieme ai novelli Wilson animaleschi e tecnologici.
Laboratori, pale eoliche, raggi UV ed intelligenze artificiali sono astuzie e raggiri che intrigano grazie a sceneggiature da blockbuster ma che, per l’appunto, esiliano l’opera da binari impegnativi verso canoni che più commerciali non si potrebbe.
C’è perciò poco da aggiungere per una sciatta caduta di stile, mantenuta a stento in piedi da ineleganti espedienti e giochi di mestiere dell’intera truppa assoldata!