Claustrofobia futuristica
Elizabeth si risveglia dentro una capsula criogenica senza ricordare nulla di sé e come sia finita qui dentro, con l’ossigeno prossimo all’esaurimento e un computer di bordo unica voce pseudo amica che possa salvarla da questa trappola mortale.
Il periodo è un futuro indefinito, al pari del viaggio nelle orbite spaziali della protagonista, la quale, man mano che la sua claustrofobica avventura prosegue attorno a pianeti sconosciuti, capisce che luoghi nascosti in sconfinate atmosfere sono l’unica via di salvezza per un’umanità ridotta all’estinzione da un temibile virus.
La pellicola si riallaccia all’attuale drammaticità che stiamo vivendo in maniera non banale, romanzando un racconto sì estremo, ma che nasconde al proprio interno anche un significato realistico, sebbene intimidatorio e timoroso: l’incapacità della collettività e scienza futuristica di poter reagire a catastrofi pandemiche, se non emigrando verso lidi vergini e cristallini!
Film ricco di tensione, Oxygen non può che rimandare al gioiello di Rodrigo Cortes Buried – Sepolto (2010), un’adrenalica battaglia per sopravvivere dentro una bara in Iraq.
Qui, se possibile, il dramma è ancora più accentuato, dato che alla sabbia desertica in terre terroristiche si sostituisce l’apparente confort tecnologico di una “stanza” sci-fi, nella quale le comodità medico-sanitarie sono all’ordine del giorno e a comando.
La progressiva cognizione di impotenza poi, unita a drammatici e intimistici ricordi di ciò che è stato e non sarà più, accrescono l’imminente tragedia di Elizabeth, alla fine solamente un corpo sacrificale per il nuovo genere umano che si sta andando a creare.
La firma è quella di Alexandre Aja, fra i maggiori enfant prodige horror fantascientifici, che anche qui strizza l’occhio all’action thriller distopico, sfiorando il tanto amato splatter comunque nell’aria sotto forma di siringhe striscianti, ma infine si limita in modo egregio ad esaltare l’introspezione della sua eroina, un’ottima Melanie Laurent, one woman show a suo agio nel trasporre apprensione e angoscia similarmente a ribellione e rassegnazione.
La regia si fa da parte per gran parte della proiezione, benchè siano notevoli le varie angolazioni che pedinano Litz durante l’angusta battaglia per la sopravvivenza, cedendo a una così talentuosa interprete le redini del gioco, con lo scopo – più che riuscito – di ingabbiare lo spettatore in questo ossessivo e serrato tragitto insonorizzato, dove il sadismo di un orologio pronto a decretare la fine della corsa la fa da padrone.
Quando poi dei bellissimi piani sequenza decidono di emigrare dalla capsula per rendere chi segue partecipe della sconfinata traversata cosmica che è in atto, arrivando poi, vero o no che sia, a conoscere finalmente il mondo novizio e la rinnovata esistenza, un senso astratto di rammarico, sconfitta e perdizione supera la gioia di essere giunti a destinazione!