Il magnifico omaggio di Spielberg a se stesso
Penna e cinepresa di Steven Spielberg, cast strepitoso, fotografia e musiche dei capiscuola Kaminski e John Williams e un racconto soave con numerosi cambi di tono: tutti questi sono gli ingredienti di The Fabelmans, monumentale e magnifico lavoro che omaggia la carriera di un grande regista americano, una sorta di Canto del Cigno anteriore del maestro a stelle e strisce!
Le pregresse iniziative sul progetto I’ll be Home giungono quindi finalmente a compimento seppur con ben 20 anni di ritardo, tempo sufficiente per il maestoso cineasta di prendere coraggio e fiducia dopo ulteriori capolavori che ne hanno affinato ancor di più uno stile ineguagliabile. Tale ritardo consente allo Spielberg fresco 76enne di girare perciò la pellicola con un indelebile marchio saggio e maturo, visibile in qualunque frame e che lo differenzia da altre egregie prove d’autore ma magari più sbarazzine e leggere, come l’ottimo e recente Licorice Pizza.
Più di due ore e mezza di proiezione non sono quasi sufficienti ad identificare in pieno la bellezza interiore che il film fa filtrare, e negli occhi di Samuel – Gabriel LaBell – Fabelman si ritrovano tutte le emozioni che un bambino già grande comincia ad annusare, le complicanze della vita, la sofferenza introspettiva, i cambi di città, i sogni nel cassetto che potrebbero rimanere tali e la tristezza delle separazioni familiari, visionate da sguardi sì puri e amorevoli ma al contempo anche critici di chi ama alla follia ma in maniera burrascosa.
Ed infine, come contraltare a cotanta malinconia positiva lo sfondo del cinema, la salvezza che porterà il giovane uomo a raggiungere le proprie vette dell’animo e “creare felicità” a chi ne condividerà le gesta.
Spielberg usa ogni stratagemma in dote per raccontare una “semplice” storia autobiografica, la nascita, crescita e distacco/unione all’interno di una famiglia ordinaria, l’eredità umana più che cinematografica che ha ricevuto e che sta pian piano lasciando ai suoi successori, utilizzando modus operandi genuini, sinceri e soprattutto credibili, caratteristiche che consentono alla sua opera di divenire monumentale ma veritiera: un inno dunque alla normalità che abbaglia e commuove, grazie all’alternanza di drammi interiori e divertimenti comuni che un bambino si accinge a conoscere e portarsi dentro per sempre.
Il casting poi, oltre alla sorprendente intensità di LaBell/piccolo Fabelman, ha addotto due straordinarie performance nel talento indiscusso di Paul Dano e Michelle Williams, perfetti nel frapporre problematiche familiari alla voglia di successo a tutti i costi, sinonimo di divisioni in quell’epoca particolare, mentre Seth Rogen conserva la postura comica ma la affianca al fervore drammatico dello zio preferito.
L’attrattiva del Grande Schermo, il 16mm e gli anni 50 sono il prologo del film, innalzati dalla seducente luce di fondo che rimanda a un’era incantevole, dove il rifiorire dai flagelli del Grande Conflitto rappresentava un paradigma a tutto tondo e consentiva ai veterani di sognare un futuro roseo.
Buio, soggezione e paura, tali sono i primordiali turbamenti del piccolo Fabelman di fronte a ciò che ne farà invece un dominus mondiale, una sorta di allegorico contrappasso figurato col quale chiunque ha almeno una volta fatto i conti ed iniziale scoglio prima di rifinire il “proprio io” nella Terra dei Sogni!
L’amore infinito per il cinema, usato però da Spielberg sempre come verità e non finzione è il parossismo per eccellenza di tutta la sua vita, e qui omaggiato raccontandolo da capo in simbiosi con essa.
Il regista ci premia con uno stampo iniziale che verrà poi sempre conservato, una giustificazione o meglio ancora la confessione su come ogni sua opera sebbene fantastica e immaginifica abbia avuto origine da contesti veritieri.
A tutto ciò permane costante un’atmosfera dolce e speciale che solo una lettera d’amore verso i genitori può originare, e che Spielberg non ha mai smesso di scrivere!