Agghiacciante horror del 2004 diretto da Takashi Shimizu, che vede come protagonista l’attrice statunitense Sarah Michelle Gellar, affermata ormai sul grande schermo e lanciata dalla serie televisiva ”Buffy, l’ammazza vampiri”. Il film è un remake americano di una pellicola del 2003 sempre diretta da Shimizu.
Alla giovane Rika , assistente sociale tirocinante, viene affidato il compito di assistere un’anziana signora da poco trasferitasi in una nuova casa assieme al figlio e alla nuora. Al suo arrivo trova la donna sola e in stato catatonico; sporcizia e disordine regnano dappertutto.
Rika si mette al lavoro, ma ben presto fa un’agghiacciante scoperta: al piano superiore, in un armadio chiuso con del nastro adesivo, scopre infatti un gatto nero e un bambino dall’aspetto inquietante che dice di chiamarsi Toshio. Scesa a chiedere spiegazioni alla sua assistita, Rika trova quest’ultima in preda al terrore e intenta a coprirsi gli occhi, mentre l’apparizione di una figura femminile, che pare fatta di pura ombra, si avventa su di lei.
Nel passato quella casa era stata, infatti, teatro di una terribile tragedia familiare: un uomo, Takeo Saeki, in preda a una folle gelosia aveva ucciso la moglie, il figlio e persino il loro gatto, prima di essere rinvenuto morto a sua volta in circostanze misteriose. Da allora un anatema sembra gravare sulla casa: tutti coloro che vi hanno abitato o vi sono venuti a contatto sono morti o sono scomparsi..
Davvero un horror ben riuscito, che sa spaventare sin dalle prime scene, senza esagerare fino al finale. La Gellar, forse per la sua familiarità in campo ”horror” non risulta mai inopportuna, la vicenda sembra sconvolgerla e terrorizzarla realmente.
Unico elemento che risulta leggermente dissonante è il vedere un’eroina del piccolo schermo, ex ammazzavampiri, agire quasi inerme e risultare spaventata da fenomeni paranormali., elemento che spesso stona per i telespettatori abituati ad un ruolo preciso.
The Grudge è quello che si definisce tecnicamente uno shocker. Shimizu punta a far paura, ma soprattutto punta a non dare mai il tempo allo spettatore di riprendersi dallo spavento appena preso.
In funzione di questo, il film non ha una struttura lineare, cosa che avrebbe costretto l’autore e lo sceneggiatore ad alcuni obbligati passaggi narrativi, necessari allo sviluppo di una storia: il regista, invece, sfrutta il facile escamotage dell’improvviso salto temporale per dare corpo ad una fitta serie di climax emotivi innescati dal solo motore narrativo della casa maledetta.
Per quanto potenti essi siano, di solito, dopo un po’, anche lo spettatore più smaliziato ci fa il callo, e, a meno che il congegno non sorprenda per virtù di stile, essi perdono del tutto il loro statuto di picchi emotivi: svuotati di un’adeguata preparazione, non raggiungono altro risultato che non sia quello di provocare un verticale calo d’attenzione dall’altra parte dello schermo.