Psycho Killer per amore
Il talento di Cassie, una volta brillante studentessa di medicina, deraglia a causa di un accadimento drammatico che ne oscura vitalità e fiducia verso il prossimo, specie se di sesso maschile, e la porta a compiere gesta al limite della paranoia e psicopatia nei confronti proprio di ogni uomo le si faccia davanti con fare egemonico.
Per la londinese Emerald Fennel è un debutto in regia e il bis alla sceneggiatura, anche se già nei dialoghi di Killing Eve si carpiva una predilezione ad accentuare la lotta interiore che la razza femminile affronta per combattere in autonomia le violenze dell’altra sponda.
In Una Donna Promettente lo specchio thriller/commedia vale la palma di pellicola iper attraente e nasconde, almeno nella prima parte, qualunque tipo di indizio e perciò hype dell’arco narrativo, cedendo alla sì intrigante e sempre convincente postura ironico-drammatica di Carey Mulligan anche l’alone da psycho killer con trucco, tacchi a spillo e vestiti attillati, una sorta di alienata sui generis!
L’ottimo montaggio originale ed una cinepresa che viaggia tra l’introspettivo di Cassie e il suo circondario fanno il resto, creando dei costanti climax che appassionano lo spettatore, curioso di capire cosa spinga la donna a comportamenti bizzarri estremi, che convincono lo sconsiderato di turno a prendersene cura, appartarla ma infine scappare terrorizzato!
La novella regista quindi stupisce per una direzione artistica così insolita e stravagante, fin quando l’occhio della propria macchina da presa produce un vedo/non vedo che concede all’utente l’eccitazione di proseguire e pronosticare il seguito degli eventi.
Il problema purtroppo nasce per l’appunto quando l’arcano viene svelato – forse troppo presto a questo punto – e il fascino della nostra eroina va così a scemare assieme ad esso.
Difatti, i drammi del passato che riemergono nella testa di Cassie, fungono ahimè come fine dei giochi, e qualunque cosa avviene dopo sposta le redini del film verso un racconto visto e rivisto, con aggiustamenti scontati e a volte grotteschi, che spingono la ragazza a ricercare i demoni della sua testa da un momento all’altro, con giustificazioni pacchiane e nonostante sia passato più di un decennio dalle disgrazie.
Lo splatter presunto e magari anche desiderato dello Stuntman Mike di Grindhouse viene poi sostituito da incastri impossibili e soprattutto poco credibili, che servono ad ottenere in quel frangente un lieto fine che unisca il dramma tragico alla marachella goliardica di un cervello sopraffino con esigue esigenze di sopravvivenza, rimandando di più al Red de Le Ali della Libertà, senza però approfondirne i piani diabolici.
Ciò nonostante questo lungometraggio mantiene una sembianza di modernità che colpisce eccome nella sua forma, promettendo inoltre per la talentuosa neo regista un futuro luminoso.